"Il fiume che ricorda"

Scorrendo i social, mi sono imbattuta in una figura che sembrava emergere da un tempo lontano: La Llorona.
È una leggenda che nasce in Messico, intrecciando antichi miti indigeni e memorie della Spagna coloniale. Racconta di una donna che, nel dolore più profondo, perde sé stessa e i propri figli, e che da allora vaga tra i fiumi chiamandoli, come se potesse ritrovarli nell'eco del suo pianto.
Col tempo, questa figura è diventata simbolo del dolore che non trova voce, del senso di colpa che non si placa, della maternità ferita, ma anche — se la si ascolta con altri occhi — della possibilità di redenzione, di integrazione, di ritorno alla vita.
Forse mi ha colpita perché parla di qualcosa che tutti, a modo nostro, conosciamo: quel momento in cui si smette di scappare dal dolore e si comincia ad ascoltarlo.
E così, immaginandola accanto a un fiume, ho lasciato che la sua storia diventasse un cammino interiore.


Il fiume che ricorda
C'è un fiume, e c'è un suono che accompagna ogni respiro.
L'acqua scorre lenta, e chi la guarda sente che qualcosa dentro di sé comincia a muoversi allo stesso ritmo.
Sulla riva siede una donna.
Non parla, non piange più.
Le mani riposano sulle ginocchia e il suo sguardo segue le onde come chi, per la prima volta, osserva ciò che è sempre stato lì.
Il fiume riflette un'immagine, poi un'altra.
Un volto giovane, poi un altro più stanco, poi ancora un'ombra di sguardo.
E in quel riflesso, chi osserva può sentire affiorare qualcosa di proprio — un ricordo, una sensazione, una parte che forse era rimasta in silenzio troppo a lungo.
L'acqua mormora parole che non si capiscono subito.
Non serve capire.
Basta lasciarle passare, come se ogni suono portasse via qualcosa di superfluo, qualcosa che non serve più trattenere.
A volte, da qualche parte dentro, può nascere una domanda.
Cosa rimane, quando smetto di lottare con ciò che è già accaduto?
Cosa succede, se invece di respingere il dolore, lo accolgo come una parte che chiede solo di essere riconosciuta?
Il vento accarezza la superficie, e il fiume si illumina.
È come se ogni lacrima, ogni memoria, trovasse un posto nuovo, diverso, più ampio.
Non per cancellarsi, ma per trasformarsi.
Allora la donna si china e sfiora l'acqua con le dita.
Sente che è fredda, ma viva.
Sente che ogni goccia contiene una storia.
E che ogni storia, quando viene guardata con gentilezza, smette di essere ferita e diventa esperienza.
Nella corrente, le immagini si confondono: un bambino che ride, un volto che si allontana, un abbraccio mancato, una speranza che torna.
E in mezzo a tutto questo, una voce sottile che sembra venire da dentro:
"Puoi lasciar scorrere.
Puoi restare qui, anche mentre tutto cambia."
La donna chiude gli occhi, e per un attimo il tempo si ferma.
Non c'è più colpa, né attesa.
Solo presenza.
Quando li riapre, il fiume è lo stesso, ma diverso.
Più profondo, più calmo.
Come se avesse ricordato qualcosa di importante.
Si alza, lentamente.
L'acqua continua a scorrere, portando con sé il suono di ciò che è stato e il silenzio di ciò che può ancora nascere.
E mentre si allontana, un pensiero le attraversa la mente, o forse è il fiume stesso che lo sussurra:
"Tutto ciò che è stato dolore, può diventare comprensione.
Tutto ciò che è stato perdita, può diventare spazio.
E tutto ciò che hai amato, continua a vivere, in te."
Il vento la accompagna.
Il fiume continua a scorrere.
E nel suo suono c'è pace
.